lunedì 26 gennaio 2009

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IL FATTO/ Italiani, basta lamentarsi. Ode alla badante moldava

Giorgio Vittadini

venerdì 23 gennaio 2009

La storia che voglio raccontare può sembrare al limite, ma rappresenta uno squarcio sulla nostra società che mette in luce questioni che toccano tutti. In occasione di una grave malattia di mia madre ho conosciuto una signora moldava che le ha fatto da badante fino al suo decesso.

La signora, sulla quarantina, è venuta in Italia con la figlia diciottenne diplomata al liceo, dopo la morte precoce del marito a seguito di un incidente stradale. Mentre faceva in modo egregio la badante e sottraendo tempo al sonno, ha seguito un corso per Osa (Operatore socio assistenziale). La figlia, dato il non riconoscimento del titolo di studio moldavo in Italia, si è iscritta ad un istituto tecnico per periti aeronautici, accettando serenamente di ricominciare a frequentare le lezioni con alunni molto più giovani di lei. Inoltre, per contribuire al mantenimento suo e di sua mamma, ha contemporaneamente lavorato in un McDonald. La mamma, una volta conseguito il titolo di Osa, ha trovato lavoro in una cooperativa che gestisce case per anziani, mentre ha continuato a fare la badante.

La figlia si è diplomata con 80 punti su 100 e, nell’attesa di un lavoro pertinente al titolo di studio, ha continuato a lavorare nel McDonald. Grazie alla garanzia di alcuni amici, le due donne hanno potuto accendere il mutuo per una casa che, in poco tempo, hanno sistemato con una grande cura trasformandola in un luogo accogliente, personale ed estremamente curato nei particolari. Mentre continuano a lavorare, le due donne non smettono di desiderare: la mamma vorrebbe iscriversi a un corso per infermieri, la figlia aspira ad un lavoro nel suo ramo. Ciò che colpisce è la positività del loro atteggiamento.

Pur dovendo affrontare ogni giorno problemi infinitamente più gravi di quelli incontrati da cittadini italiani, ciò che domina è la mancanza di pretese e il senso di profonda gratitudine verso il nostro Paese e coloro che hanno incontrato, il gusto per il lavoro e la mancanza di lamento per la fatica. La giovane colpisce se si paragona a persone della sua età perché questa vita piena di impegno non la intristisce. Anzi, si può dire che, in entrambe, fiorisce il gusto per la bellezza. La mamma, mentre assisteva gli anziani e la figlia, durante studio e lavoro, nel poco tempo libero che avevano, hanno imparato a ricamare e i loro lavori artigianali sono splendidi.

In un clima dove sembra dominare solo il vento plumbeo della crisi, la ricerca di brevi momenti di evasione per chi può, la lamentazione e l’accusa, la denuncia dell’impossibilità ad andare avanti, figure del genere fanno pensare. Sembra di vedere i nostri emigrati di decine d’anni fa, concentrati sul desiderio di migliorare la propria condizione e quella della loro famiglia. Questo esempio è per noi il suggerimento di una posizione umana che potrebbe rendere molto più facile affrontare questa crisi.

In fin dei conti, quello che non è mai mancato al nostro popolo è un desiderio motivato e sostenuto dalla fede cristiana o da ideali mossi da amore per la giustizia e la libertà, di accettare la sfida posta dalla realtà, di lottare per migliorare la condizione personale, della propria famiglia, della gente intorno a sé, di utilizzare la propria intelligenza, creatività, volontà per uscire dalle difficoltà senza farsi scoraggiare.

Anzi, questa è forse la risorsa più grande di un Paese senza materie prime, forza militare, coesione politica, una risorsa che è condizione della possibile riuscita di qualunque manovra economica o di accettazione di precetti morali per la pubblica amministrazione o l’economia privata. Guardando chi da poco arrivato fra noi ce lo testimonia non possiamo non ricordarcene.

(Pubblicato su Il Riformista del 23 gennaio 2009)

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